Review party: "La cripta di Venezia" di Matteo Strukul
Il contrasto con cui comincia questo thriller non è il classico contrasto tra personaggi, tra il Canaletto per capirci e qualche committente ma è un contrasto sensitivo. Ci sono odori che si mescolano. L’odore buono, quasi dolciastro della cera. Un fetore ignoto che sembrava risalire dal basso. L’aroma pungente dell’incenso che non riusciva a penetrare e sconfiggere l’odore del male.
È indubbio che la scrittura di Matteo Strukul sia una scrittura scenografica e molto profonda, le scelte lessicali sono cariche di significati che rimandano ad altro e portano oltre. Le scene sempre realistiche ed estremamente facili da visualizzare e il tempo dentro il quale si riesce a saltare chiudendo semplicemente le palpebre sulla realtà.
Non c’è un luogo nel mondo, reale o immaginario, in cui questo autore non sia in grado di portarci per regalarci in viaggio appagante e allo stesso tempo indubbiamente economico.
Venezia fino al 1700 fu una delle cinque città più popolose d’Europa.
Il 21 maggio del 1732 registriamo storicamente la morte del doge Alvise III Sebastiano Mocenigo il quale ebbe come successore Carlo Ruzzini rimasto in carica appena tre anni. Il centotredicesimo doge di Venezia, equilibrato e attento.
Il 1732 è l’anno in cui il nostro cantastorie costruisce quest’affascinante scenografia, intensa, romantica e inquietante, fantasticando realisticamente sulla vita e le relazioni di persone che diventano personaggi. Carattere, personalità, moralità scaturiscono dalla penna dell’autore che si appoggia alla storia e ne scavalca con abilità i confini.
Sono poche le cripte di Venezia che possono essere visitate. Una di queste si trova all’interno della chiesa di San Zaccaria. È divisa in tre navate da colonne sostenenti volte a crociera e negli anni è stata fedele custode di molte reliquie in una chiesa ospitante un monastero benedettino femminile. Oggi questa cripta si trova quasi costantemente allagata e vi si accede quando l’acqua è più bassa attraverso un camminamento rialzato.
Anche se quasi totalmente vuota la peculiarità e la bellezza di questa cripta sta proprio nella capacità di riflettere se stessa all’interno di uno specchio d’acqua che ne segue i contorni rendendoli fluidi e scomposti, come un sogno dal quale è difficile allontanarsi.
Matteo Strukul ci porta al suo interno quando ancora l’acqua non ne aveva preso possesso e ci fa trovare il cadavere di una giovane donna con la bocca sfondata da un mattone incastrato tra le mandibole. La fanciulla in questione ha origini nobilissime, è una Mocenigo, appartiene alla famiglia del doge che troviamo già sul letto di morte.
Antonio Canal, il Canaletto appunto, personaggio già protagonista dei due precedenti romanzi, viene chiamato a corte perché il delitto richiama nelle dinamiche uno di quelli su cui lui stesso aveva indagato e al quale aveva regalato la soluzione. Accanto a lui ritroviamo il buon amico irlandese Owen McSwiney e il britannico mercante e collezionista d’arte Joseph Smith.
I tre dovranno destreggiarsi anche all’interno di una seconda cripta, quella di San Simenon Piccolo. Chiesa che possiamo vedere proprio davanti alla stazione ferroviaria Santa Lucia di Venezia, che incanta i visitatori per la sua cupola in verde rame e per l’ingresso situato sopra un’alta scalinata.
Questa cripta è quasi per la totalità avvolta dal buio da apparire come una vera e propria catacomba, con le pareti che vennero affrescate proprio negli anni della nostra storia. Le stazioni della via crucis dipinte con colori chiari e delicati alle quali si aggiunsero nel corso dei secoli diverse altre opere.
All’interno verrà ritrovato un altro corpo, ancora una volta un esponente della famiglia dei Mocenigo, ucciso con la stessa macabra ritualità della prima vittima. Da lì in poi entriamo in un vortice di sangue, di violenza e di tensione tipica del thriller.
Incontriamo Orsolya Esterházy erede al trono dei Morlacchi, i Valacchi Neri, figura affascinante e intelligente, forte come l’immagine di uno specchio ricomposto e allo stesso tempo dall’animo profondamente spezzato. Dentro e fuori di lei troveremo le briciole da seguire in questo labirinto che tenterà con forza di intrappolarci.
Il prezzo della verità rischia di essere molto salato per i nostri investigatori. La ricerca coinvolgerà inevitabilmente anche la simbologia che dovrà guidare i protagonisti e il lettore verso uno spazio interiore in cui il significato si veste di nuove forme.
Venezia vive tra le pagine, nel vento che fischia tra i tetti dei palazzi, nella pioggia che batte contro il vetro dei finestroni. È stanca, stremata e bisognosa di una tregua dopo essere stata violentata dalle solite famiglie. A Venezia il cielo è freddo e anche i muri hanno gli occhi.
Nella lettera a Charlotte (chi ha letto gli altri romanzi ricorderà questo prezioso personaggio) Venezia diventa livida e fredda e l’acqua ha il colore degli occhi amati. È malinconia, ricordo e sofferenza. È richiesta disperata di un sorriso.
Ma Venezia in questo romanzo è anche una creatura viva e mostruosa, divoratrice di esistenze. Un palcoscenico maestoso sopra il quale danza una storia tanto verosimile quanto incantevole.
Lasciamo un Canaletto pensieroso, deciso, stanco di aspettare e proteso verso il cambiamento, lasciamo lui che lascia a sua volta Venezia e sembra quasi di fare la stessa fatica ad aprire gli occhi sulla realtà.
Ci sono tutti gli ingredienti giusti in questo romanzo che gli appassionati di thriller storici e gli ormai affezionatissimi lettori di Matteo Strukul non possono proprio perdere. L’autore è ormai una certezza e un appuntamento fisso per tutti gli amanti del genere che bramano immergersi in una storia ricca di dettagli ed eventi, avvincente, appassionante e imprevedibile.
È indubbio che la scrittura di Matteo Strukul sia una scrittura scenografica e molto profonda, le scelte lessicali sono cariche di significati che rimandano ad altro e portano oltre. Le scene sempre realistiche ed estremamente facili da visualizzare e il tempo dentro il quale si riesce a saltare chiudendo semplicemente le palpebre sulla realtà.
Non c’è un luogo nel mondo, reale o immaginario, in cui questo autore non sia in grado di portarci per regalarci in viaggio appagante e allo stesso tempo indubbiamente economico.
Venezia fino al 1700 fu una delle cinque città più popolose d’Europa.
Il 21 maggio del 1732 registriamo storicamente la morte del doge Alvise III Sebastiano Mocenigo il quale ebbe come successore Carlo Ruzzini rimasto in carica appena tre anni. Il centotredicesimo doge di Venezia, equilibrato e attento.
Il 1732 è l’anno in cui il nostro cantastorie costruisce quest’affascinante scenografia, intensa, romantica e inquietante, fantasticando realisticamente sulla vita e le relazioni di persone che diventano personaggi. Carattere, personalità, moralità scaturiscono dalla penna dell’autore che si appoggia alla storia e ne scavalca con abilità i confini.
Sono poche le cripte di Venezia che possono essere visitate. Una di queste si trova all’interno della chiesa di San Zaccaria. È divisa in tre navate da colonne sostenenti volte a crociera e negli anni è stata fedele custode di molte reliquie in una chiesa ospitante un monastero benedettino femminile. Oggi questa cripta si trova quasi costantemente allagata e vi si accede quando l’acqua è più bassa attraverso un camminamento rialzato.
Anche se quasi totalmente vuota la peculiarità e la bellezza di questa cripta sta proprio nella capacità di riflettere se stessa all’interno di uno specchio d’acqua che ne segue i contorni rendendoli fluidi e scomposti, come un sogno dal quale è difficile allontanarsi.
Matteo Strukul ci porta al suo interno quando ancora l’acqua non ne aveva preso possesso e ci fa trovare il cadavere di una giovane donna con la bocca sfondata da un mattone incastrato tra le mandibole. La fanciulla in questione ha origini nobilissime, è una Mocenigo, appartiene alla famiglia del doge che troviamo già sul letto di morte.
Antonio Canal, il Canaletto appunto, personaggio già protagonista dei due precedenti romanzi, viene chiamato a corte perché il delitto richiama nelle dinamiche uno di quelli su cui lui stesso aveva indagato e al quale aveva regalato la soluzione. Accanto a lui ritroviamo il buon amico irlandese Owen McSwiney e il britannico mercante e collezionista d’arte Joseph Smith.
I tre dovranno destreggiarsi anche all’interno di una seconda cripta, quella di San Simenon Piccolo. Chiesa che possiamo vedere proprio davanti alla stazione ferroviaria Santa Lucia di Venezia, che incanta i visitatori per la sua cupola in verde rame e per l’ingresso situato sopra un’alta scalinata.
Questa cripta è quasi per la totalità avvolta dal buio da apparire come una vera e propria catacomba, con le pareti che vennero affrescate proprio negli anni della nostra storia. Le stazioni della via crucis dipinte con colori chiari e delicati alle quali si aggiunsero nel corso dei secoli diverse altre opere.
All’interno verrà ritrovato un altro corpo, ancora una volta un esponente della famiglia dei Mocenigo, ucciso con la stessa macabra ritualità della prima vittima. Da lì in poi entriamo in un vortice di sangue, di violenza e di tensione tipica del thriller.
Incontriamo Orsolya Esterházy erede al trono dei Morlacchi, i Valacchi Neri, figura affascinante e intelligente, forte come l’immagine di uno specchio ricomposto e allo stesso tempo dall’animo profondamente spezzato. Dentro e fuori di lei troveremo le briciole da seguire in questo labirinto che tenterà con forza di intrappolarci.
Il prezzo della verità rischia di essere molto salato per i nostri investigatori. La ricerca coinvolgerà inevitabilmente anche la simbologia che dovrà guidare i protagonisti e il lettore verso uno spazio interiore in cui il significato si veste di nuove forme.
Venezia vive tra le pagine, nel vento che fischia tra i tetti dei palazzi, nella pioggia che batte contro il vetro dei finestroni. È stanca, stremata e bisognosa di una tregua dopo essere stata violentata dalle solite famiglie. A Venezia il cielo è freddo e anche i muri hanno gli occhi.
Nella lettera a Charlotte (chi ha letto gli altri romanzi ricorderà questo prezioso personaggio) Venezia diventa livida e fredda e l’acqua ha il colore degli occhi amati. È malinconia, ricordo e sofferenza. È richiesta disperata di un sorriso.
Ma Venezia in questo romanzo è anche una creatura viva e mostruosa, divoratrice di esistenze. Un palcoscenico maestoso sopra il quale danza una storia tanto verosimile quanto incantevole.
Lasciamo un Canaletto pensieroso, deciso, stanco di aspettare e proteso verso il cambiamento, lasciamo lui che lascia a sua volta Venezia e sembra quasi di fare la stessa fatica ad aprire gli occhi sulla realtà.
Ci sono tutti gli ingredienti giusti in questo romanzo che gli appassionati di thriller storici e gli ormai affezionatissimi lettori di Matteo Strukul non possono proprio perdere. L’autore è ormai una certezza e un appuntamento fisso per tutti gli amanti del genere che bramano immergersi in una storia ricca di dettagli ed eventi, avvincente, appassionante e imprevedibile.
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