"Fammi una promessa" di Karla Sorensen

 

 Se il cognome Wilder non vi dice niente, abbiamo un problema. E pure grosso. Fermatevi qui, perché prima di leggere questo libro dovete recuperare almeno altri due libri… anche se, per capire al meglio cosa significhi essere un Wilder, ci sono due serie di sport romance che vi aspettano!

Per me essere un Wilder significava accettazione e accoglienza. Significava amore e un porto sicuro.

Questo non vale solo per Ian, per Harlow, o per tutti gli altri personaggi che abbiamo imparato a conoscere. Quel porto sicuro ricolmo di amore e accoglienza fa sentire anche il lettore a casa. Grazie alla cura e alla delicatezza dell’autrice, diventiamo parte della famiglia. E, proprio per questo, ci stiamo ancora leccando le ferite. La famiglia Wilder non ha ancora trovato un equilibrio solido dopo il lutto subito. Stanno cercando di capire come andare avanti senza la loro guida, il loro faro, investendo le proprie energie nel lavoro.

Ian, da fratello maggiore, cerca di essere un punto di riferimento ma non sa come fare, come esserlo. Da sempre, non sa quale sia il suo posto all’interno della famiglia. Per anni, era certo di quello che poteva essere, ovvero il migliore amico di Harlow, fin da quando le ha prestato il giaccone all’asilo. Quando, dopo diciassette anni di silenzio e lontananza, Harlow ricompare nella sua vita, beh, non so voi ma io l’ho inteso come un regalo del papà. Harlow torna e il mondo di Ian subisce una scossa di assestamento.

Harlow torna a casa per far felice sua figlia, e per ritrovare le parole, la sua vena artistica. Si ritrova nel mezzo di un blocco dello scrittore e le cose non sono facili: tornare a vivere con i suoi genitori che non capiscono il suo sogno, il suo lavoro artistico, non aiuta a districare il caos dentro di sé. Incontrare nuovamente Ian, realizzare che nulla è cambiato, è un toccasana, così come la sua offerta di diventare coinquilini.

Il loro rapporto è quanto di più bello e raro che si possa trovare. Si conoscono davvero fino in profondità, basta un cenno, un’espressione. Le parole sono superflue. Sono sempre stati l’uno la forza dell’altro, la distanza non ha cambiato nulla. O forse sì?

C’era solo una ragione per cui la sua felicità era così importante per me. Per cui avrei affrontato tutto ciò che avrebbe incontrato sul suo cammino. Non perché fossi il principe o il cavaliere della sua storia, ma perché ero il drago che si stringeva attorno a ciò che amava di più, sputando fuoco, fornendo protezione e abbattendo qualunque fortezza con uno schiocco della mascella, alimentato dal modo violento in cui si era insinuata e impressa dentro di me.

La storia di Ian e Harlow si può catalogare come uno slow burn friends to lovers. Non si sbaglia, ma è qualcosa di più. Di più profondo, di più viscerale. Sono due pezzi di un puzzle che si incastrano perfettamente. Sono due amici che si scelgono continuamente, più per gli angoli da smussare che per i pregi. Sono la perfetta descrizione dell’amore: esserci anche quando l’altro non ha bisogno, anche quando fa di tutto per allontanarci. Con Ian e Harlow non servono parole, perché le loro anime sanno come parlare senza emettere un suono.

E, come sempre, Karla Sorensen sa emozionare il lettore, facendogli fare un giro sulle montagne russe. Sa farlo ridere, poi gli squarcia l’anima, gli fa mancare il fiato per il dolore come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco. Infine, gesto dopo gesto, ricuce quello strappo con amore e dovizia. C’è un prima e un dopo, con Karla Sorensen… e la differenza è ciò che ti ritrovi dentro. Calore. Speranza. Fiducia. E quel pizzico di aspettativa, perché ti ritrovi a essere dipendente dalle sue storie. Bramo la storia di Parker e Poppy, gli ultimi due fratelli rimasti. Non dobbiamo aspettare troppo, vero?!

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