"Sideralema" di Andrea D'angelo

 

 Mi tocca fare una doverosa premessa a questa recensione. Non ho parlato con l’autore, che conosco molto bene, per due settimane per poterla scrivere senza condizionamenti. Non l’ho sentito dopo aver letto il libro pur sapendo che il mio parere era atteso. Ho preso il mio tempo, ho riflettuto, elaborato, rielaborato, tagliato e aggiunto.

Perché tutta questa fatica?

Perché per me questa saga è importante. È uno dei pochi, pochissimi, esemplari di saga genuinamente fantasy presente in lingua italiana originale (non tradotta per capirci). Un genere che sta diventando sempre più di nicchia e che andrebbe riscoperto almeno per la componente legata alla lettura della realtà di cui il Bel Paese avrebbe urgente bisogno.

In Sideralema, così come nel resto della saga, non ci sono spazi vuoti, ogni spazio è riempito da riflessioni importanti, senza che esse vengano in qualche modo imbeccate, forzate o sofisticate.

Entro nel mondo dei Silenzi con il desiderio di poter “sentire” quando una cosa è giusta, come gli Scent che non hanno bisogno di spiegazioni.

Andrea dissemina dettagli importanti, ormai lo conosco, così ogni volta in cui mi imbatto “in una scodella troppo pulita” o “in un corridoio senza traccia di sangue” li porto con me con la consapevolezza che saranno la chiave per poter aprire porte verso nuovi passaggi.

Vado fuori strada con la mente mentre leggo, consapevole che questa fuga non è molto apprezzata dagli autori perché mi porta a leggere ciò che hanno scritto dentro lo spazio della mia personale esperienza.

Così immagino Maggot che all’inizio di questa avventura riconosce se stessa e la propria solitudine nella solitudine dell’altro e questo me la rende vicina perché spesso fuori dalla fortezza isolata in cui mi sono rifugiata, vagando in cerca di cibo, mi imbatto in gente simile a me che riconosco per empatia. Magari facciamo anche un tratto di strada insieme per poi tornare civilmente alle nostre rispettive solitudini. Di tutti loro, con cura, conservo il ricordo.

Una coincidenza non era altro che un fatto chiamato con altro nome

Dunque nulla verrà affidato al caso o alla sorte ma tutto ha una spiegazione e sarà nostro compito, dei personaggi, dell’autore e dei lettori, indagare e scovarla.

Vi è tra queste pagine una forte invettiva contro l’indifferenza, contro chi rimane concentrato su se stesso e rifiuta di vedere la miseria altrui, la desolazione che lo circonda, quasi non appartenessimo tutti alla stessa terra, alla stessa specie.

Il destino avverso non può riguardare solo alcuni, non può essere confinato, eppure la comprensione di questo concetto così basico anziché avvicinarsi sembra allontanarsi sempre di più.

Nell’impero della globalizzazione siamo sempre più soli, più fragili, più invisibili.

Vi è fortissimo il tema della fuga, come in tutti i romanzi di D’Angelo che ho letto. La fuga che non è mai un semplice scappare da, ma sempre anche un andare verso.

Maggot, la nostra protagonista, personaggio che ho amato anche nei volumi precedenti, fugge dalla propria personale schiavitù rappresentata dalle evanescenti spire del Sideralema e allo stesso tempo corre impavida verso un cambiamento inevitabile.

Fuggire tuttavia non è semplice e immediato. Un Terminale (non vi dirò cos’è, ma vi invito a scoprirlo da soli e a riprendere in mano l’intera saga se necessario) vive in uno stato di dipendenza psicofisica totalizzante, schiavo di una salute piena e di un’efficienza assoluta. Rinunciarci vuol dire rinunciare all’idea di poter essere perfetti.

Ma fuggire dalla perfezione significa anche avvicinarsi sempre di più a se stessi.

Maggot Sham correva attraverso le piane delle Terre Libere Superiori e più correva più si allontanava da Maggot Sham e s’avvicinava a Shamma’. Shamma’ la sottile. Shamma’ la vigile. Shamma’ l’implacabile. Shamma’ la Terminale. “Shamma’. E più non sarà.” Questo si diceva di lei tra le genti del Sideralema. Era divenuta una specie di leggenda macabra. Uno spauracchio popolare. Un ammonimento. Lei aveva sempre tirato dritto, mentre la sua essenza s’era lentamente sgretolata e, pezzettino dopo pezzettino, l’aveva precipitata in un abisso tenebroso.

Non metterò troppi estratti, ma questo ci tenevo particolarmente a lasciarvelo perché racchiude un po’ l’essenza della scrittura di Andrea senza svelarvi troppo sulla trama.

È un tipo di scrittura slegata dalle tradizionali dinamiche e ritengo sia utile per il lettore sapere che non vivrà continuamente in tensione durante la lettura, piuttosto vivrà continuamente in riflessione, così come accade spesso con i grandi classici di questo genere.

Altro punto che tengo a mettere in evidenza è la potenza di questo personaggio femminile che emerge in tutto il suo essere donna, con i dubbi, i timori e con quella incapacità di mettersi in stand by. È una donna e in quanto tale non può permettersi di rimanere ferma. Le decisioni che deve prendere necessitano della sua completa attenzione e l’esitazione la porterebbe dritta verso il fallimento della sua missione.

Forse non l’ho detto ma la nostra Maggot ha una missione importante che scelgo anche qui di non svelare ma che molto ha a che fare con la libertà di voi che state leggendo.

Quello che posso dirvi è che alla base della conquista violenta del Sideralema c’è un’azione che la storia conosce molto bene. I mondi conquistati vengono “emendanti”, ossia ripuliti dalle impurità culturali autoctone, per far sì che si raggiunga un equilibrio uniforme intorno all’ideale di una società giusta e cooperativa.

Un equilibrio costantemente minacciato e tuttavia mantenuto attraverso la repressione di qualsiasi azione considerata deviante.

In mezzo a tutti questi pianeti c’è Ogward Thau, il mondo virtuale, potenzialmente infinito. Un mondo dove giocare. Ma attenzione, il gioco sarà molto più serio della realtà, intenso e pericoloso e vi terrà incollati alle pagine, sapendo all’occorrenza anche sorprendervi e perché no, farvi arrabbiare.

Non mi piace correre eppure ho corso, non so nuotare eppure mi sono immersa per lunghissimo tempo in acqua, soffro di vertigini eppure ho scalato cime altissime, ho sorriso e sono svanita nel farlo, ho inspirato ed espirato diverse volte. Ho lasciato che la razionalità volasse un po’ via da me. Ho rinunciato alla ragione per andare incontro a una soluzione, a l’unica possibile scelta.

La libertà è in questo romanzo una solida protagonista, qualcosa da conquistare, da ricostruire, non da proteggere o difendere ma da raggiungere.

Quand’è che non puoi più piegarti e ti spezzi?

Ve lo siete mai chiesti? Dove può arrivare la sopportazione?

Bellissima la risposta che ci viene donata, la conserverò tra le citazioni preziose, in quel posto dove mi rifugio quando sono stanca, delusa e affranta. Nel posto dove non ci sono classifiche da seguire e regole da rispettare ma solo cocci da riassemblare.

Originale sicuramente. 
Provocatorio il giusto.

Esco da queste pagine carica di positività e ribadisco un concetto già espresso all’autore, l’unico condiviso prima di scrivere la recensione, perché per rispetto di voi pochi (ma buoni) lettori che mi seguite cerco sempre di evitare laddove posso di lasciarmi influenzare. Dicevo, ribadisco, convinta, che la scrittura di Andrea D’Angelo debba considerarsi a tutti gli effetti una scrittura di ricerca, ovvero una scrittura in costante cammino.

Vi possiamo trovare dentro mille e più soluzioni utili ad ognuno di noi, ma l’empatia che si crea vale più di qualsiasi morale. Camminare insieme diventa allora più importante del raggiungere una meta e gli ostacoli sono la vita stessa che non è più un traguardo ma un percorso dentro noi stessi che può e deve portarci al superamento dei nostri limiti.

E ora? Tocca ritrovarsi altrove, in quel luogo in cui solo le parole pensate e scritte sanno essere per noi terra, pane e acqua, lì caro Andrea, ci riconosceremo sempre. Io sarò quella che controlla il verso degli accenti e tu quello a cui chiedere da che parte sta l’Universo.



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