"Nessun altro cuore" di Kat Sherman

 


 Bea è una persona buona. È la prima cosa che ci dice ed elenca anche quelle che lei considera essere le prove tangibili della sua bontà. Nel farlo già dalle prime righe mi permette di ritrovare lo stile ironico e fresco di un’autrice, Kat Sherman, che seguo da tempo.

Da lei vado quando ho bisogno di sognare, ma non troppo. Di ridere e di immaginare scenari paradossali che nella loro eccentricità rimandano a sentimenti vissuti in maniera molto intensa.

L’ultima volta che ha visto suo padre aveva dieci anni e ora, alla sua morte, si ritrova a dover andare negli Stati Uniti, per vendere la scuola di scrittura di cui il genitore era proprietario.

Porta con sé in questo viaggio l’insofferenza di chi sta inseguendo un sogno in mezzo a una marea di delusioni, uno stato d’animo che si concretizza davanti alla convinzione della madre che il ricavato della vendita della scuola possa servire a “comprare il futuro” perché nutrire la speranza di realizzarlo con le proprie forze non sembra essere neanche un’opzione.

La città di partenza di questo viaggio è Roma ed è lì che Bea vuole tornare con le finanze per aprire “un caffè letterario che profuma di carta stampata e cannella” e intanto continuare a scrivere.

Fare della scrittura un mestiere. Non sei l’unica a sognarlo, cara Bea.

Thomas Kline era il pupillo del padre, un fuoriclasse della scrittura su cui il maestro aveva concentrato tantissimo tempo. Il suo vero nome è Jameson Ford (ci viene detto all’inizio, non è uno spoiler). Per lui la nostra Bea nutre un istintivo senso di gelosia perché su di lui si sono concentrate per anni le attenzioni di suo padre. Attenzioni che lei ovviamente avrebbe voluto per sé.

Jamie non sa piangere, ha promesso al padre di Bea morente che sarebbe stato lontano dall’alcool, deve finire di scrivere il suo romanzo e cerca una moglie.

Sapete chi si tatua così tanto? 
Chi non è stato ascoltato abbastanza

Non avevo mai riflettuto su questa possibilità in effetti, o almeno non mi sono mai soffermata a guardare le cose da questa prospettiva ma pensandoci bene spesso l’inchiostro sulla pelle profuma di parole o sentimenti inascoltati, a volte per sempre.

La Riverbank Academy, la scuola creativa di Greg, il padre di Bea, è un posto di una bellezza disarmante, l’unico che Jamie riesce a chiamare casa. Un antico edificio georgiano, maestoso, colmo di libri e segreti, isolato eppure perfettamente in grado di adeguarsi all’anima di chi lo abita.

La Bea che Jamie incontra è una ragazza che non ha paura di nulla e che ha perso ogni fiducia nel genere umano. Tra loro già dalle prime battute non si capisce se è più forte l’odio o l’attrazione.

Se c’è una cosa che ho imparato delle trame di Kat Sherman è che nulla va mai come lo si era progettato o immaginato all’inizio e la storia prende sempre delle strade impervie, tortuose e spesso esilaranti prima di arrivare al sospiratissimo lieto fine.

È un romanzo senza la classica “connessione” a cui siamo abituati ma capace di creare connessioni importanti tra i personaggi, nella finzione, nell’immaginario del lettore e in ultimo nella realtà con riflessioni importanti che a svelarne i temi sarebbe un peccato perché vanno scoperte una battuta alla volta, una risata alla volta, una lacrima alla volta.

I romanzi della Sherman insomma sono un’attrazione impossibile da ghostare per chi ama stare sulle spine e soffrire con i protagonisti, ma anche per chi si sente a metà tra il romance e la realtà. Ma l’importante cari lettori e che sappiate che per allontanare gli orsi… bisogna cantare.



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