Le recensioni di Jessica: I Malavoglia di Giovanni Verga


Cari Disasters, non sapete quanto mi siete mancati! La mia estate è stata all'insegna dello studio, del lavoro (e delle meritate ferie) e questa prima recensione ne è un frutto. Si tratta di un classico della letteratura italiana, uno di quelli che nei miei ventiquattro anni non mi era mai capitato di leggere, perché le letture "veriste" non fanno per me, eppure... venite a scoprire cosa ne penso!

Titolo: I Malavoglia

Autore: Giovanni Verga

Editore: Acquarelli

Genere: narrativa (classici italiani)

Prezzo: 0,49 e-book


Sinossi


La storia di una famiglia, la storia di un paese intero.
Aci Trezza è un piccolo villaggio di pescatori, una comunità all’apparenza solidale, ma in realtà spietata. Conta solo l’interesse personale, a discapito del più debole. I Malavoglia ne costituiscono l’esempio lampante. Il capofamiglia, Padron ‘Ntoni, acquista un carico di lupini grazie a un prestito di zio Crocifisso, ma quello che sembrava un grande affare sarà l’inizio della loro rovina. La Provvidenza si capovolge con i lupini e suo figlio Bastianazzo muore in mare. Padron ‘Ntoni è un uomo di parola e fa di tutto per ripagare il suo debito, ma non ci riesce e perde la casa del Nespolo, quella in cui ha vissuto per tutta la vita. Da qui si susseguono una serie di tragedie che portano i Malavoglia a diventare un vago ricordo di ciò che erano stati. Perdono perfino il loro buon nome a causa del nipote di Padron ‘Ntoni, quel ‘Ntoni che ha capito troppo bene la sua miseria e non riesce più a sopportarla. ‘Ntoni va a cercar fortuna in città, ma torna più povero di quando era partito, con la coda tra le gambe. Si dà all’alcol, frequenta cattive compagnie… è il disonore della sua famiglia e finisce in galera. Quando ne uscirà si renderà conto con amarezza che niente sarà mai come prima: il paese dal quale aveva cercato di fuggire per tutta la vita adesso non gli lascerà altra scelta se non quella di andare altrove, per ricominciare da capo.

Recensione

Un quadro crudo e spietato, quello di Verga, maestro del Verismo italiano. Non indora la pillola, non fa sconti a nessuno, perché la vita non ne fa. I Malavoglia sono il popolo tiranneggiato dalla Provvidenza (non a caso è anche il nome della loro barca), una famiglia che accetta la propria condizione con pacata rassegnazione, che non cerca il cambiamento, consapevole che spesso cambiare significa peggiorare. I Malavoglia sono una famiglia patriarcale e Padron ‘Ntoni è il capo che decide ogni cosa, perché sa ciò che è meglio per tutti. Eppure suo nipote si dimostra incapace di affidarsi a lui, di ascoltare. Come può farlo lui che sa? ‘Ntoni ha capito che il suo destino è segnato, che sarà schiavo della Provvidenza e della casa del Nespolo per tutta la vita: non farà altro che affannarsi e lavorare per cosa? Per sopravvivere fino alla crisi successiva? Non lo accetta ‘Ntoni, si ribella. Si rassegna e preferisce subire gli eventi invece che continuare a cercare un miglioramento impossibile. Ha perso troppe volte.
E poi c’è la Mena, che rinuncia pacatamente al suo amore per Alfio Mosca.
Ci sono Maruzza. Alessi. Lia e un intero microcosmo attorno a loro. I Malavoglia sono compatiti da Aci Trezza, ma tutti prendono le distanze da loro e da quelle disgrazie che si susseguono e li portano sempre più in basso. Chi potrebbe aiutarli non solo non lo fa, ma infierisce, si accanisce sulle loro sfortune e ne approfitta per il proprio interesse. Come probabilmente avrebbero fatto i Malavoglia se fossero stati al loro posto. Brava gente, per carità… ma Verga dimostra che l’uomo tende sempre e solo al proprio bene.
«Eh, ci vogliono tante cose per avere il cuore contento!»
Cosa posso dire di questo romanzo? Leggo per evadere dalla realtà, perciò non è proprio il mio genere ed ammetto che non è stata una lettura facile. Dalle prime pagine è evidente che non ci sarà un lieto fine, che bene e male sono indissolubilmente legati. Devo anche ammettere però che la classe di Verga è innegabile: ha reso i Malavoglia parte di un microcosmo dalle mille sfaccettature, dando un quadro preciso di una società che non funzionava. Ne consegue una sorta di romanzo corale in cui ognuno ha una propria voce, dove ogni cosa può essere l’esatto contrario di ciò che sembra, ma la miseria è e sarà sempre irreversibile. Il narratore del resto è dalla parte degli oppressori, di chi pensa al proprio interesse: spetta al lettore distinguere bene e male, vedere oltre il velo, oltre le contraddizioni. E questo è esattamente il motivo per cui è giusto leggere questo romanzo spietato, almeno una volta nella vita.





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