Review Party: "questo amore sarà un disastro" di Anna Premoli
Con la parola disastro nel titolo, potevamo non leggere il nuovo romanzo di Anna Premoli, targato Newton Compton editori?! Nossignore!! Ecco a voi la recensione di Giulia.
Titolo: Questo amore sarà un disastro
Autore: Anna Premoli
Editore: Newton Compton Editori
Genere: Contemporaneo
Prezzo: € 5.99
Data di uscita: 7 ottobre 2019
Sinossi
Edoardo Gustani è un rampante golden boy della finanza milanese, esperto di fusioni e acquisizioni, interessato a rilevare la maggioranza della Health Green, in difficoltà in seguito a qualche colpo di testa dell’ultimo amministratore delegato. Per portare a casa l’accordo Gustani deve convincere i membri della famiglia Longo, proprietari da generazioni. C’è solo uno scoglio da superare: avere il parere favorevole di Elena, nipote delle quattro anziane azioniste. Elena non ha più nulla a che fare con la società, da quando il padre le ha preferito il figlio maschio come amministratore delegato. Ha voltato pagina e aperto un centro olistico nel quale le persone possono allontanarsi dal caos quotidiano. Edoardo non riesce a credere che Elena non voglia lasciarsi convincere dalle sue validissime ragioni. La sconfitta non fa parte del suo DNA. Decide quindi di trascorrere qualche giorno nel centro di Elena. È sicuro di riuscire a farla ragionare sfruttando il suo grande fascino. Ma ci sono imprevisti che nemmeno un cinico e calcolatore uomo d’affari può immaginare…
Recensione
Giorni nostri. Milano.
Sarà forse colpa di un viscerale amore per questa città – ormai da me perduta nelle nebbie di una memoria recente ma confusa – di quello per Anna Premoli – che con sorprendente dolcezza mi ha avvicinata al romance nostrano, ormai alcuni anni or sono – o forse ancora di quello per una certa sottile dedizione all’utilizzo dello spunto a guardare oltre messo apparentemente a caso in un certo momento del testo, ma mettere in una giusta prospettiva questa lettura è tutt’altro che semplice.
Di due cose, però, sono abbastanza certa.
La prima: prendendo in prestito un principio fondamentale della psicologia della Gestalt secondo la quale il tutto è più della somma delle singole parti, il testo è qualcosa di più della somma delle singole parole.
La seconda: il tempo, nella sua impossibilità d’essere definito, è centrale. Quasi sempre, oserei dire. Memoria, alcuni anni orsono e un momento del testo. Ho aperto così, con tre tempi. E di più. La sua centralità sta nelle mani dell’autore che scrive, in quelle di quanti rendono un prodotto finito e, in ultima analisi, in quelle del lettore.
Voglio quindi rendere onore alle due quasi certezze che ho e cominciare da qui. Da uno spunto capace di mostrare quel di più del testo, attraverso il quale l’autrice catapulta il lettore ben oltre lo scontato, una quasi citazione da brivido.
Un avvocato donna che ha gli attributi più grossi di tutti gli abitanti del libro – maschi s’intende – messi insieme e un paio di gagliardi soci d’affari abbastanza svegli da aver capito di non averceli abbastanza grandi, questi attributi.
E questo, in apparenza, è tutto quanto si accompagna a un linguaggio spesso intriso di un tecnicismo di difficile comprensione. Almeno per me, che di finanza non so nulla.
Finché la Premoli non decide di fare la Premoli e, senza dare nessun avvertimento, sposta lo sguardo da quanto sta davanti a quanto sta dentro. Nel personaggio, nella sua complessa esistenza che ci rappresenta tutti, nel più insignificante fallimento che apre alla possibilità di essere umani. Nella critica posizione delle donne in una società che ha smesso con i roghi soltanto perché fa brutto, o è diventato illegale o qualcosa che poco ha a che fare con l’evoluzione. Dentro, alla ricerca di pensieri o volontà o bisogni o tutto insieme, alla ricerca della risposta a una delle questioni più antiche, più attuali, più dissezionate e meno chiarite della storia dell’uomo: l’amore.
Sarà forse colpa di un viscerale amore per questa città – ormai da me perduta nelle nebbie di una memoria recente ma confusa – di quello per Anna Premoli – che con sorprendente dolcezza mi ha avvicinata al romance nostrano, ormai alcuni anni or sono – o forse ancora di quello per una certa sottile dedizione all’utilizzo dello spunto a guardare oltre messo apparentemente a caso in un certo momento del testo, ma mettere in una giusta prospettiva questa lettura è tutt’altro che semplice.
Di due cose, però, sono abbastanza certa.
La prima: prendendo in prestito un principio fondamentale della psicologia della Gestalt secondo la quale il tutto è più della somma delle singole parti, il testo è qualcosa di più della somma delle singole parole.
La seconda: il tempo, nella sua impossibilità d’essere definito, è centrale. Quasi sempre, oserei dire. Memoria, alcuni anni orsono e un momento del testo. Ho aperto così, con tre tempi. E di più. La sua centralità sta nelle mani dell’autore che scrive, in quelle di quanti rendono un prodotto finito e, in ultima analisi, in quelle del lettore.
Voglio quindi rendere onore alle due quasi certezze che ho e cominciare da qui. Da uno spunto capace di mostrare quel di più del testo, attraverso il quale l’autrice catapulta il lettore ben oltre lo scontato, una quasi citazione da brivido.
Dicevamo. Giorni nostri. Milano. Lui un arrogantissimo, affascinantissimo e insopportabilmente issimo d’apparenza della finanza della città che vorrebbe non dormire mai. Lo scapolo apparentemente privo di qualsiasi slancio empatico, il maschio alfa che per dimostrare, se a se stesso o a quanti lo credono se stesso è da scoprirsi con la lettura, di essere immune al fascino della sconfitta, pensa bene di riaffermare la sua invincibilità andando a combattere a casa del nemico. Un quasi eroe, verrebbe da credere. Lei una ex issima di sostanza, prestata a una vita ritirata e votata alla diffusione di brevi soste dal caos di esistenze nelle quali una pausa costa più di una corsa. Moltissimo cervello e pochissima capacità di dissimulare quanto passa sul volto dell’onestà non calcolata.Alice: «Per quanto tempo è per sempre?»Bianconiglio: «A volte, solo un secondo.»
Un avvocato donna che ha gli attributi più grossi di tutti gli abitanti del libro – maschi s’intende – messi insieme e un paio di gagliardi soci d’affari abbastanza svegli da aver capito di non averceli abbastanza grandi, questi attributi.
E questo, in apparenza, è tutto quanto si accompagna a un linguaggio spesso intriso di un tecnicismo di difficile comprensione. Almeno per me, che di finanza non so nulla.
Finché la Premoli non decide di fare la Premoli e, senza dare nessun avvertimento, sposta lo sguardo da quanto sta davanti a quanto sta dentro. Nel personaggio, nella sua complessa esistenza che ci rappresenta tutti, nel più insignificante fallimento che apre alla possibilità di essere umani. Nella critica posizione delle donne in una società che ha smesso con i roghi soltanto perché fa brutto, o è diventato illegale o qualcosa che poco ha a che fare con l’evoluzione. Dentro, alla ricerca di pensieri o volontà o bisogni o tutto insieme, alla ricerca della risposta a una delle questioni più antiche, più attuali, più dissezionate e meno chiarite della storia dell’uomo: l’amore.
Le follie condivise, per qualche strana ragione, hanno il sapore delle cose giuste.Un romanzo che, nonostante rimanga aggrappato al necessario clichè e, soprattutto nelle battute iniziali, risenta di una poco seducente ricerca del dettaglio tecnico, è capace di evolvere e migliorarsi pagina dopo pagina. Attraversato dalla freschezza di una penna attenta, capace di slanci analitici di rilievo, spunti e riflessioni come brevi istanti di uno spessore sempre più raro nel panorama letterario odierno, regala al lettore il piacere di una storia già raccontata e già letta, ma mai scritta e mai letta altrove.
Sembra carino.
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