"Black Bishop" di Teresa Greco


Chiudere una serie come questa non è facile per tanti motivi. Uno su tutti, incastrare le caratterizzazioni dei personaggi precedenti per mantenere la giusta coerenza interna e allo stesso tempo agganciare la nuova trama. Dunque Teresa, chapeau.

Kim è piccola, esile, con la bocca color ciliegia, gli occhi a mandorla leggermente ambrati. Ha un fiocco rosso tra i capelli, il coraggio di una leonessa e la predisposizione per il canto. Ha appena 14 anni quando comincia questo romanzo.

Liam, il più piccolo dei fratelli Jones, è alto, con le sopracciglia folte, gli intensi occhi azzurri e i capelli biondi come il grano. Ha la musica nel sangue e questa è un’informazione che possiamo recuperare dalle storie dei suoi fratelli. Quello che sappiamo in più all’inizio di questa storia è che il nostro ragazzo non è la star della scuola come vorrebbe il cliché più quotato ma uno dei tanti bullizzati
come possiamo incontrarne nella nostra esperienza quotidiana nelle scuole.

Il cognome di Kimberly, Arsan, per chi ha seguito tutta la serie, evoca lo spettro del Re Bianco che ha giocato un ruolo decisivo nel partito dei cattivi della storia di papà Alexander e mamma Nicole. Cattivo sì, ma in un certo senso anche vittima di questa storia che avrà il compito quasi impossibile di riabilitarlo agli occhi dei lettori.

Lo sguardo di Liam rimbalza tra il cellulare, la chitarra e la finestra per finire dritto negli occhi della
sua piccola stella che viene avvolta dalla sua anima fatta di musica. L’intesa è immediata così come la sorpresa di essere sempre capiti senza bisogno di parole o di spiegazioni.

Ma la storia ha immediatamente una svolta shakespeariana che fa storcere il naso al lettore che vede
il finale allontanarsi inevitabilmente e non può che arrendersi al fatto che le cose semplici proprio non
ci piacciono.

Osservo quella maledetta Ford diventare un punto sempre più piccolo, fino a disperdersi.
E io resto ancora lì, come un idiota, come un fottuto cane abbandonato, fino a quando un clacson
suona per farmi togliere di mezzo. Non mi resta che trascinarmi sconfitto verso il taxi in attesa.


Così prende il via una trama talmente ricca da prevedere il passaggio su tematiche veramente forti,
toccate con sapienza e disciplina, ma anche con molta consapevolezza, la stessa che sa che il vero amore trova sempre la sua strada.

Sette anni dopo ritroveremo i nostri ragazzi poco più che ventenni. Lei una cantante, star internazionale. Lui, una zuppa di buoni propositi e sogni infranti al sapore di tic tac. Complice una passeggiata tra i ricordi, queste due piccole anime mosse dalla musica torneranno a vivere vicine e lo spazio decreterà la loro sconfitta, o meglio la resa a sentimenti che non possono rimanere imbrigliati.

Non sarà un percorso facile, né scontato e il giovane Liam ci riporterà spesso indietro con la
memoria ai ricordi di suo padre che sacrificò se stesso senza esitazione per salvare le persone amate.

Ecco che con Teresa ancora una volta ci allontaniamo dallo stereotipo del maschio alfa e ci viene
restituito un uomo capace di amare con tutte le sue fragilità. Un ragazzo imperfetto, con una sensibilità unica, tipica dell’artista destinato al successo. Un pessimista, perché in fondo il pessimismo è più facile da gestire. Non ci impone di cercare la felicità a tutti i costi. Ci lascia sempre una scappatoia quando la nostra volontà non è sufficiente a provocarci una reazione.
  
La paura di soffrire e la sensazione di correre troppo, di non riuscire a gestire una carriera impegnativa in un mondo discografico che ha ben poco di limpido e pulito, di non riuscire a tenere il passo dei sacrifici necessari, saranno protagoniste più volte della scena, fino alla fine e forse anche oltre.

Sono sicura di poter sentire ancora i battibecchi di Liam con l’amico Joshua che mi hanno fatto sorridere più volte durante la lettura. Così come sono sicura di potermi di nuovo emozionare tra i vicoli di Firenze, davanti al grosso portone di legno, chiuso, vicino al campanello Fontani.

Brava Teresa! Nonostante sapessi dove stavamo andando, mi hai lasciato ugualmente disarmata e più
volte con le lacrime agli occhi a chiedermi il perché e ad asciugarli con la speranza che la ricostruzione
non fosse solo un’illusione. Grazie!



Commenti

Post più popolari