“LadyBug. Come neve per le coccinelle” di L.F.Koraline
Briana, figlia di una duchessa irlandese con una seria malattia mentale e di un astrofisico famoso che, nonostante le incomprensioni rimane il modello a cui la ragazza si ispira, vive in un prestigioso collegio privato a Miami.
Jaxon, fuorilegge un po’ particolare con un quoziente intellettivo nettamente superiore alla media, cerca il suo posto nel mondo e per farlo avrà bisogno di rapire la giovane costringendola a una convivenza forzata in uno dei luoghi più inospitali del pianeta.
Fra i ghiacci dell’Alaska in condizioni veramente rigide si consuma una relazione destinata a scavalcare i confini della realtà.
Ecco! Fuori dalla realtà! È lì che ogni volta mi porta Koraline che anche qui danza sul confine del fantasy con eleganza e una libertà che appartiene a poche.
Il breve accenno di trama che vi ho lasciato sopra vi farà subito pensare alla sindrome di Stoccolma, la condizione psicologica che induce le vittime di un sequestro a provare affetto per i propri rapitori. Un affetto reale, molto spesso, che scaturisce dalla conoscenza di sé e dell’altro in una situazione di isolamento. A maggior ragione in questo caso in cui entrambi, rapitore e rapita, vivranno lontani da qualsiasi altro essere umano.
Eppure ridurre questo romanzo all’esperienza di prigionia non è possibile e non lo è, secondo me, per diversi motivi. Uno di questi è sicuramente che nessuno dei due protagonisti era realmente libero all’inizio del racconto. Per poter perdere la libertà bisogna possederla ma è immediata nelle prime pagine la sensazione che Briana e Jaxon siano possessori di molte cose tranne che della possibilità di scegliere come vivere la propria vita.
Briana tra i ghiacci dell’Alaska toglierà finalmente la maschera smettendo di essere la figlia premurosa, compiacente e desiderosa di voler assecondare i propri genitori. Perderà la normalità e la sicurezza dei propri affetti o di quelli che crede siano tali.
Jaxon la maschera la indosserà e dovrà combattere con un passato che gli ripropone un’immagine di sé così fragile e decostruita da farmi rabbrividire più volte e ripercorrere con l’immaginazione le situazioni e le prove vergognose che lo hanno visto protagonista.
Si riconferma la capacità di Koraline di portare sulla carta e nei nostri sogni (nei miei sicuramente) personaggi con un bagaglio così pesante da generare empatia, simpatia e gratitudine perché attraverso la loro resilienza ci fanno apprezzare le nostre piccole sfide quotidiane.
Non manca l’ironia, in più punti, soprattutto nella prima parte quando questi due ragazzi interagiranno in maniera “non proprio convenzionale”. Non vi svelo la dinamica, vi lascio con la curiosità e la certezza che nel momento in cui la trama era completamente avvolta nel mistero, quando avrei dovuto concentrarmi nel capirci qualcosa, la mia attenzione è stata più volte catturata da dettagli che mi hanno fatto letteralmente piegare dalle risate che mischiate all’adrenalina del mistero hanno creato un mix difficile da contrastare.
Ho parlato da sola, più volte, e altrettante ho parlato con Briana per spiegarle cose che lei non sarebbe riuscita a vedere o sentire.
Jaxon mi ha insegnato che un amico con cui vomitare cioccolato salato e bolle di sapone è da considerarsi preziosissimo. Che la fame d’amore di un bambino può essere implacabile. Che essere maltrattato e maltrattare non vanno per forza a braccetto.
Che la morte non è una vera perdita perché le persone smettono di essere presenze fisiche ma non possono essere cancellate dalla memoria, anche e soprattutto da quella dei gesti.
Briana mi ha insegnato che nella vita si può non accettare di fare la controfigura e scegliere di avere un ruolo, un senso, un valore. Che la paura è meno terrificante dell’indifferenza.
L’Alaska mi ha insegnato che la natura trova sempre un modo per rinascere. Che una stella non sempre può resistere alla forza di gravità del sole. Che il fruscio del vento può nascondere la solitudine e anche un pesce può spezzare quel rumore assordante del vuoto.
Il rapitore e la rapita, lo stronzo e la duchessina sboccata e un sacco bucato che si svuota lungo il cammino della vita. Questo sono stati questi due ragazzi, che non si sono risparmiati in nulla ai miei occhi e nel mio cuore.
Vado a costruire il mio nido della fiducia, potete scoprire cos’è solo leggendo questa piccola perla
Grazie Koraline per la bombola di ossigeno, la neve, per avermi fatto vedere di cosa è capace il cielo, per lo scoiattolo, per la coccinella e l’orso, per la rabbia, l’assenza, le confessioni e i baci.
Jaxon, fuorilegge un po’ particolare con un quoziente intellettivo nettamente superiore alla media, cerca il suo posto nel mondo e per farlo avrà bisogno di rapire la giovane costringendola a una convivenza forzata in uno dei luoghi più inospitali del pianeta.
Fra i ghiacci dell’Alaska in condizioni veramente rigide si consuma una relazione destinata a scavalcare i confini della realtà.
Ecco! Fuori dalla realtà! È lì che ogni volta mi porta Koraline che anche qui danza sul confine del fantasy con eleganza e una libertà che appartiene a poche.
Le coccinelle, ad esempio, per poter sopravvivere all’inverno, devono ammassarsi fra loro e tenersi strette per scaldarsi. Il letargo è la sola speranza che hanno di risvegliarsi a primavera, quando la loro più grande nemica non sarà più una minaccia.
Il breve accenno di trama che vi ho lasciato sopra vi farà subito pensare alla sindrome di Stoccolma, la condizione psicologica che induce le vittime di un sequestro a provare affetto per i propri rapitori. Un affetto reale, molto spesso, che scaturisce dalla conoscenza di sé e dell’altro in una situazione di isolamento. A maggior ragione in questo caso in cui entrambi, rapitore e rapita, vivranno lontani da qualsiasi altro essere umano.
Eppure ridurre questo romanzo all’esperienza di prigionia non è possibile e non lo è, secondo me, per diversi motivi. Uno di questi è sicuramente che nessuno dei due protagonisti era realmente libero all’inizio del racconto. Per poter perdere la libertà bisogna possederla ma è immediata nelle prime pagine la sensazione che Briana e Jaxon siano possessori di molte cose tranne che della possibilità di scegliere come vivere la propria vita.
Briana tra i ghiacci dell’Alaska toglierà finalmente la maschera smettendo di essere la figlia premurosa, compiacente e desiderosa di voler assecondare i propri genitori. Perderà la normalità e la sicurezza dei propri affetti o di quelli che crede siano tali.
Jaxon la maschera la indosserà e dovrà combattere con un passato che gli ripropone un’immagine di sé così fragile e decostruita da farmi rabbrividire più volte e ripercorrere con l’immaginazione le situazioni e le prove vergognose che lo hanno visto protagonista.
Si riconferma la capacità di Koraline di portare sulla carta e nei nostri sogni (nei miei sicuramente) personaggi con un bagaglio così pesante da generare empatia, simpatia e gratitudine perché attraverso la loro resilienza ci fanno apprezzare le nostre piccole sfide quotidiane.
Non manca l’ironia, in più punti, soprattutto nella prima parte quando questi due ragazzi interagiranno in maniera “non proprio convenzionale”. Non vi svelo la dinamica, vi lascio con la curiosità e la certezza che nel momento in cui la trama era completamente avvolta nel mistero, quando avrei dovuto concentrarmi nel capirci qualcosa, la mia attenzione è stata più volte catturata da dettagli che mi hanno fatto letteralmente piegare dalle risate che mischiate all’adrenalina del mistero hanno creato un mix difficile da contrastare.
Ho parlato da sola, più volte, e altrettante ho parlato con Briana per spiegarle cose che lei non sarebbe riuscita a vedere o sentire.
Jaxon mi ha insegnato che un amico con cui vomitare cioccolato salato e bolle di sapone è da considerarsi preziosissimo. Che la fame d’amore di un bambino può essere implacabile. Che essere maltrattato e maltrattare non vanno per forza a braccetto.
Sono stato un coniglio prima di diventare un grizzly, ma di quel coniglio ho conservato il cuore.
Che la morte non è una vera perdita perché le persone smettono di essere presenze fisiche ma non possono essere cancellate dalla memoria, anche e soprattutto da quella dei gesti.
Quando perdi qualcuno il suo spazio nella tua vita si allarga, i confini della sua presenza si ampliano, perché smettono di essere legati a un solo luogo, spandendosi ovunque, in ogni fibra del corpo.
Briana mi ha insegnato che nella vita si può non accettare di fare la controfigura e scegliere di avere un ruolo, un senso, un valore. Che la paura è meno terrificante dell’indifferenza.
L’Alaska mi ha insegnato che la natura trova sempre un modo per rinascere. Che una stella non sempre può resistere alla forza di gravità del sole. Che il fruscio del vento può nascondere la solitudine e anche un pesce può spezzare quel rumore assordante del vuoto.
Il rapitore e la rapita, lo stronzo e la duchessina sboccata e un sacco bucato che si svuota lungo il cammino della vita. Questo sono stati questi due ragazzi, che non si sono risparmiati in nulla ai miei occhi e nel mio cuore.
Vado a costruire il mio nido della fiducia, potete scoprire cos’è solo leggendo questa piccola perla
… capace di creare emozione
… di far scoppiare il cuore d’amore, di rabbia o di paura, poco importa purché faccia tremare il petto.
Grazie Koraline per la bombola di ossigeno, la neve, per avermi fatto vedere di cosa è capace il cielo, per lo scoiattolo, per la coccinella e l’orso, per la rabbia, l’assenza, le confessioni e i baci.
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