“Prova a non dormire” di Manlio Castagna

 

Caspita, questo libro è un problema.

È stato questo il mio pensiero uscita dalla prima manciata di pagine e il motivo o i motivi sono veramente tanti, ve lo racconto un po’ a grandi linee, senza spoiler ovviamente, poi vi spiegherò i motivi del mio necessario e salvifico turbamento.

A Vulcri, un paese nella Valle dei Calanchi, accadono delle cose strane, la più strana di tutte sembra essere che alcuni abitanti cadono addormentati, a volte per giorni e giorni, con conseguenze come nausea, vertigini, perdita di memoria, allucinazioni…

Baladine Bustamante, la protagonista, appassionata di horror e crime, racconta nel suo podcast settimanale “De Profundis” storie vere e terrificanti, le cerca, le brama e in esse si rifugia. Così quando il fratello Nicolas le racconta le notizie provenienti da questo paesino non perde tempo e decide di tuffarsi nelle indagini dando inizio a un’avventura nel buio e nel male più profondo di quello che possiate immaginare.

Cos’è l’orrore per te Baladine?
La mancanza di spiegazione, un cerchio che non si chiude

Il 28 giugno del 1880 il dottor Jules Cotard, giovane neurologo e psichiatra, entra nella storia della medicina tenendo una conferenza dal titolo: Du délire hypocondriaque dans une forme grave de mélancolie anxieuse.

La luce per illuminare ha bisogno di cibarsi di oscurità.

Ora che vi ho dato qualche dritta, e probabilmente ho finito per confondervi ancora di più, veniamo ai motivi del mio doveroso turbamento.

Baladine innanzitutto, nonostante la giovane età, ha subito la perdita importantissima di un amore che non ne vuole sapere di liberarla, e il suo lutto si intreccia con riflessioni sulla morte in grado di generare scossoni enormi nel lettore che vedrà emergere dalle pagine domande importanti, impegnative, profonde e quanto mai reali.

Le forme dell’orrore non si chiudono, non possono essere archiviate, magari nascoste a piacimento sì, ma non parcheggiate in maniera definitiva, senza la possibilità che tornino a dare fastidio.

Ricominciare a vivere dopo un lutto di questa portata implica essere disposti a mettere in campo risorse che in molti non sappiamo di avere. Bala, consapevole o meno, scende a patti con le proprie certezze, i punti fermi dai quali ripartire: il lavoro e l’affetto per suo fratello.

Non so dirvi se sia la giovane protagonista a raggiungere Vulcri o se sia il paese, con i suoi tormenti e i suoi segreti a entrarle nell’animo, fatto sta che l’incontro con il buio in questo romanzo è estasiante, cupo, adrenalinico, un’indigestione di tenebre.

La scrittura di Castagna incanta e travolge, pagina dopo pagina, scena dopo scena, con capitoli brevi, brevissimi e una struttura paurosamente schematica che prevede la divisione in cinque parti: germinazione, fioritura, cronicizzazione, persistenza, sistematizzazione.

Veloce nelle scene ma anche aperto ad accogliere ogni tipo di sentimento possibile, prima fra tutti l’angoscia, presenza costante, insieme alla fuga da una realtà della quale non si ha più bisogno per vivere, e in un certo senso dalla vita stessa.

Eppure…

Il tutto avviene in maniera talmente spontanea che l’angoscia trasmessa dalle pagine non mi opprime, non mi controlla, ma mi libera in maniera irrazionale e per me decisiva. Al pari dei grandi autori dell’horror psicologico e gotico Castagna ricrea le stesse atmosfere e nel farlo giunge alla stessa meta dei grandi classici con un tocco di italico mistero di dantesca origine.

La mente gioca un ruolo fondamentale in questo romanzo che somiglia a un grande viaggio in luoghi dai quali non è possibile scappare perché popolano incubi e squarciano pareti senza permesso e senza rispetto.

È un libro follemente bello dal quale non resta che lasciarsi divorare, divorandolo a vostra volta, fino a confondere sonno e veglia… ops!

E ricordate: se fissate a lungo le tenebre, finirete per essere voi stessi quell’oscurità



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