"Non più di dieci parole" di Rebecca Quasi

 

Comincio subito con l’avvisarvi che questo romanzo della Quasi è legato al precedente “Il gigante con il violino” pubblicato nel 2018. È per lo più indipendente. Le due trame sono distinte. Tuttavia ci sono diversi personaggi rilevanti in comune, ciò fa sì che se si è letto il gigante si riesce a comprendere meglio e in maniera più immediata la caratterizzazione di luoghi, situazioni e persone.

Una gestazione molto lunga quella della Quasi, ma mai come in questo caso è valsa la pena aspettarla. La storia di Francesca e Nicola scavalca di gran lunga il concetto classico di romanticismo e ci porta nel mondo dell’autrice, quello in cui il lieto fine per accadere ha bisogno di scontrarsi con le pretese di personaggi che non temono nessuna conclusione.

Francesca D’Aragona costituiva un esemplare unico, una creatura che su di lui avrebbe esercitato un potere occulto, profondo e magnetico. Sapendolo poi ci si regolava…

Una volta appurato che Francesca, Procuratore Reggente, era la donna della sua vita, il nostro caro avvocato Nicola Maschieri ha una vera e propria epifania. La sua anima è in pace, il suo cuore riposa fiducioso e al contempo rassegnato.

La costruzione di questo personaggio è una vera e propria opera d’arte, impeccabile sotto molti punti di vista, perfettamente in linea con i modelli che l’autrice ci ha già proposto negli anni ed empatico in modo disarmante.

Rebecca ci ripete ancora una volta che l’amore non ha bisogno di nulla. Non è legato al rapporto fisico e neanche alla semplice presenza. Non è una connessione con la mente dell’altro. Non è divisibile, frazionabile. Esso è integro e invalicabile. Un’agnizione.

Il pregio di questo romanzo è di riuscire a rendere pienamente la grandezza di questo sentimento che è libero e di farlo con il marchio che caratterizza l’autrice, l’ironia. Costante, intelligente, sempre presente nei dialoghi e nei pensieri, capace di accostarsi con garbo e rispetto a ogni punto della trama.

Ho evidenziato una marea di citazioni che non inserirò nella recensione perché ogni informazione che ci viene data porta con sé lo stupore di un evento straordinario e la soddisfazione di una faticosa conquista.

La storia ci accompagna via via verso l’accettazione di questa agnizione e ci costringe a deporre le armi e abbandonare ogni resistenza. Ho passato buona parte del romanzo vicino a Francesca e mi sono messa più volte nei suoi panni. La sua vicenda nella realtà in cui viviamo non avrebbe quasi sicuramente un lieto fine. Anche questo ci fa pensare a quanto sia complicato gestire questo sentimento.

Eppure un altro punto fermo della storia è la presenza, l’essere presente e per certi versi la stessa esistenza.

L’esempio più efficace che mi viene in mente è quello dei figli. Non importa dove essi siano, saperli felici è l’unica cosa che veramente conta. Se poi sappiamo che vivono sotto il nostro stesso cielo e abbiamo speranza di incontrarli ogni tanto, beh non possiamo che sentirci fortunati. Enormemente fortunati.

Ed è così che si sente Nicola al cospetto di Francesca. Il loro è un amore tutt’altro che rassegnato dunque, capace di sopravvivere per anni grazie a dieci misere parole, un SMS ogni tre mesi, un messaggio dal contenuto sobrio, un luogo in cui racchiudere la nostalgia, scandito dal rincorrersi delle stagioni, atteso e allo stesso tempo temuto.

Non più di dieci parole. In dieci parole dovrebbe essere facile…

Nicola ne ha bisogno e Francesca capisce che quell’aula aperta, con pareti di frassini e cedri del Libano e il tetto trapunto di stelle è l’unico modo per essere felice.

L’illusione che ogni relazione debba risolversi in un determinato modo, raggiungere tappe precise, è appunto, un’illusione. L’amore va vissuto in ogni modo possibile ed è quello che fanno Nicola e Francesca. La loro dunque non è una lunga attesa del lieto fine ma un viversi costantemente, in un modo diverso, inconsueto, autentico e meraviglioso.

Altra caratteristica dei romanzi della Quasi è lo sdoganamento dei ruoli e la costruzione di personaggi femminili forti, capaci di ricoprire posizioni di potere senza mai rinunciare a essere donne passionali, attente, concretamente affermate.

I libri possono arrivare ovunque, sono un mezzo meraviglioso in grado di farci vedere strade che pensiamo impercorribili e soluzioni alle quali non avremmo mai pensato.

Chiuse le pagine sarà d’obbligo la riflessione sul tempo, sprecato o guadagnato. Fino all’epilogo avrei detto sprecato, ma la consapevolezza che non è passato un minuto senza amore mi ha travolto come l’impatto con un bolide sul rettilineo (cit.) e sono giunta alla conclusione che il tempo in amore è veramente una dimensione inutile. Lettura straconsigliata.



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