"Il teatro dei delitti" di Marcello Simoni
Siamo a Firenze ed è il 1794. È carnevale.
La struttura del romanzo ripete lo schema teatrale con il prologo, due atti e l’epilogo. Due balli dentro il primo e il secondo atto movimentano la trama e la ravvivano.
Di Marcello Simoni ho letto praticamente tutto e molto di questo tutto, l’ho recensito. Conosco la sua precisione, conseguenza di un percorso di formazione archeologico che gli permette di avere accesso a informazioni importanti, come ad esempio i dettagli sui materiali e sulla forma di alcuni oggetti di uso quotidiano nel medioevo e nell’età moderna.
I gialli di Simoni si nutrono di questi dettagli che li rendono originali, preziosi e soprattutto unici. Come preziosa è la sua passione nel ricreare le atmosfere storiche ma… qui il protagonista è Vitale Federici. Cosa cambia?
Cambia il fatto che Simoni quando ritrova Federici sveste i panni dello scrittore per mettere quelli del giocoliere. È evidente che nel caso di questo personaggio nato dalla sua penna l’ispirazione sia totalmente spostata sul piano empatico.
Marcello e Vitale sono in costante, simpatica e complice sintonia. L’uno fa divertire l’altro e viceversa. Si conoscono e si parlano spesso e il lettore non può non avvertire il legame forte che c’è tra lo scrittore e la sua creatura.
È un giallo “confortevole”. C’è il delitto ovvio. Ma il tutto avviene in uno spazio chiuso all’interno del Teatro della Pergola dove è in corso il primo atto del dramma in musica “Le feste d’Iside”.
Le situazioni che si susseguono all’interno della trama sono oscure e misteriose ma conservano al loro interno un’anima ironica che arriva dritta alle labbra del lettore costretto suo malgrado a sorridere.
Un urlo da parte di una donna del pubblico, la contessina Ludovica di Corvino, interrompe lo spettacolo. Ella è convinta di aver visto un uomo decapitare una donna sotto un’arcata del fondale scenico.
Irrompe tra le pagine il precettore Vitale Federici, accompagnato dal suo giovane discepolo Bernardo della Vipera, già presenti in sala per lo spettacolo dalla balconata del granduca di Toscana Ferdinando III di Lorena, i quali saranno chiamati a indagare sul caso, insospettiti da una traccia di sangue sul pavimento.
Federici comincia così le sue indagini e ci allieta con il suo acume e la sua capacità di conservare dettagli utili, gli stessi che uniscono lui e l’autore e che fanno sentire forte la presenza di Simoni sulla scena.
Siamo all’interno di un teatro, dove realtà e finzione si intrecciano in un gioco di specchi, e lo stesso Federici avverte la sensazione di essere stato catapultato dentro una messa in scena.
Tenendo sollevato il candelabro avanti a sé, Vitale perlustrava la lunga e sottile porzione di pavimento che correva dietro il tendone prospettico, alla ricerca di indizi. Non biasimava il malcontento di Francesco Cecchi, che avrebbe preferito non averlo tra i piedi. Tuttavia, sarebbe stato giudizioso, da parte di quell’uomo, riconoscere il genio, e quindi la pericolosità, di chi aveva orchestrato la messinscena della decapitazione. Ma a ben pensarci, si trattava di una vana pretesa! La maggior parte della gente, infatti, era cieca, irriflessiva e abituata a minimizzare le avvisaglie del pericolo. Soggetti affetti da un’incurabile pigrizia mentale, li definiva Federici. Individui non intellettualmente carenti ma patologicamente incapaci di cogliere le crepe sulla superficie di una situazione ordinaria in procinto di sgretolarsi. Orgogliosamente fiero di non appartenere a quella schiera di sonnambuli, Vitale seguitò a ispezionare il piano dell’assito fino a quando, d’un tratto, non notò una seconda macchia rossastra.La ferita sanguina, intuì, muovendo l’alone della fiamma intorno a sé per cogliere eventuali indizi di una presenza umana. Tutto ciò che gli riuscì di scorgere fu però uno stretto passaggio che si apriva a margine dello spazio scenico. Il corridoio dietro le quinte. Pronto a incamminarsi in quella direzione, venne distratto dal rumore di un pesante fruscio di tessuti e da una successiva mareggiata di esclamazioni e di applausi provenienti dalla platea. Mastro Cecchi doveva aver dato ordine di aprire il sipario. E infatti, dopo un istante, ecco la sua voce baritonale rimbombare dal palco.
Capitoli cortissimi che si leggono come popcorn al cinema per un giallo da consumare in poche ore.
L’autore ci porta dentro un luogo reale perché il teatro della Pergola esiste davvero. Ci fa vivere uno spettacolo andato in scena storicamente nel teatro. Ci porta con sé con la sua indiscutibile capacità di coinvolgerci nelle indagini e ci regala sorrisi quasi rubati a questo genere letterario che solitamente non ne prevede.
Impossibile non consigliarlo, ma Simoni rimane sempre una garanzia.
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